sabato 22 giugno 2013

VicoQuartoMazzini, chi? - Giorgia Ciocia

Rise up per la rubrica di Arte&Cultura ha voluto incontrare VicoQuartoMazzini, una compagnia teatrale di Terlizzi che nonostante i suoi pochi anni di vita, riesce a girare fra i vari teatri italiani, aggiudicandosi perfino il "premio della critica" al Playfestival di Milano.
Così...

-Chi è e chi sono VicoQuartoMazzini?
VicoQuartoMazzini è una compagnia che ha le sue radici in Puglia formata da quattro ragazzotti cresciuti: Michele Altamura, Nicola Borghesi, Riccardo Lanzarone e Gabriele Paolocà che dopo aver terminato l'accademia ad Udine non decidono di tuffarsi nell'immenso mondo dei provini come si è solito fare ma preferiscono unire le forze e provare a portare in scena un proprio spettacolo.Così per provare l'emozione ma anche la fatica di poter andare in scena quasi ogni giorno abbiamo preferito aprirci anche ad altre compagnie e regie. VQM siamo noi: attori, registi, tecnici luci e suono, organizzatori di noi stessi.

-Perchè VicoQuartoMazzini?
VQM prende il nome dalla via in cui si trovava il nostro primo monolocale in Puglia che è stata la nostra prima casa e quindi anche il primo passo che ci ha avvicinato a questa regione.


-Diss(è)nten, il vostro primo lavoro. Di cosa parla e da dove nasce l'esigenza di portarlo in scena?
Diss(è)nten è una riunione massonica in tre gabinetti di un autogrill (o Montecitorio, a seconda del punto di vista) di tre personaggi: un politico, un legislatore e un giornalista. Tre modi diversi che utilizza il potere per manifestarsi. Si incontrano per parlare di un progetto politico e sociale: ottenere una società formata da tanti singoli senza una comunicazione viva fra di essi. Essendo un'indagine sul potere non può che apparire uno spettacolo comico/grottesco, perchè si sa bene, quando lo si guarda da fuori il potere fa ridere.
L'esigenza? L'esigenza nasce nell'estate del 2010 quando portammo in scena "Trilogia dell'apatia" formata da tre short di mezz'ora che analizzavano l'apatia in tre ambiti differenti: sociale, religioso e politico. Per il nostro primo spettacolo decidemmo di analizzare nel particolare il terzo ambito, quello politico, e da lì nacque la prima idea di Diss(è)nten.

http://www.youtube.com/watch?v=_jhObayVjvU&feature=youtu.be

-Alla fine della messa in scena compare una parola molto importante, potremmo dire una parola-chiave: disertare. Colui che ha il coraggio di applicarla realmente è colui che la rappresenta la stampa. Secondo voi in Italia oggi, è l'unico organo che possiede la capacità e la forza per compiere un gesto così coraggioso?
No, perchè quando viene pronunciata non ha quella forza di convinzione che dovrebbe avere. La scelta del giornalista di disertare rimane sempre una scelta di comodo per salvare se stesso. La messa in scena non ha un lieto fine perchè la vita e il mondo stesso non hanno lieti fini.
Il suo non è il gesto di un eroe, è un gesto dettato dall'autoconservazione.

-Diss(è)nten contiene una storia nella storia. Il legislatore racconta al giornalista: c'erano una volta un servo ed un padrone. Il servo stanco di essere sottomesso decide di disertare e uccidere il padrone. Arrivato sul più bello, quando è quasi riuscito a compiere il suo gesto, il padrone e il servo si trovano faccia a faccia. La pièce teatrale non offre la fine della storia. Secondo voi come termina?
In realtà anche la storia stessa è una menzogna perchè Diss(è)nten guarda alla menzogna. Il racconto serve a smuovere il personaggio del giornalista. E' un'utopia nell'utopia. Magari dopo quello scambio di sguardi, tutto ritorna come era prima: il servo assoggettato e il padrone che assoggetta. Un po' come la società ci insegna: tutto viene minimizzato e resta com'è.

- Il 19 Maggio 2013 VicoQuartoMazzini si è aggiudicato il "premio della critica" su 113 compagnie al Playfestival di Milano grazie a Diss(è)nten. Com'è stata l'esperienza milanese?
La nostra storia con Milano nasce nel 2010 quando facemmo un primo tentativo portando uno studio della pièce e che a nostro malgrado non andò a buon fine.
Siamo ritornati nella grande città quest'anno e con uno spettacolo che ormai aveva due anni di vita.
Nessuno lì ci conosceva, eravamo perfetti estranei sia al pubblico che alla giuria e quindi sentivi non un senso di pregiudizio ma di attenzione. Durante la messa in scena ognuno di noi ha continuato a fare il suo lavoro senza tirare troppo sul pubblico. Alla fine ci sono stati alcuni secondi di silenzio. E sono i più terribili perchè non sai se quel silenzio è la conseguenza del fatto che è piaciuto o meno. Partito l'applauso quasi non credevamo a tutto quell'entusiasmo che ci fu restituito. E alla fine questa è la cosa più importante perchè grazie alla fiducia del pubblico (soprattutto di un pubblico come quello di Milano educato alla cultura teatrale) trovi la voglia per continuare il tuo lavoro. Si potrebbe quasi dire che Milano è l'impegno e la fatica che son stati ripagati.

-Non è la prima volta che portate in scena Diss(è)nten. Come si è evoluto nel tempo?
All'inizio lo spettacolo era meno comico e più cupo. Le voci erano modificate tramite microfoni particolari, i costumi facevano collocare i personaggi in un tempo e in uno spazio ben preciso. Successivamente abbiamo voluto rendere il tutto più universale, meno esplicito. I tre personaggi non corrispondono solamente a precisi tipi che caratterizzano il panorama italiano, ma riescono a colpire qualsiasi gruppo sociale che sia infettato da meccanismi figli del potere. Diss(è)nten non vuole essere satira politica infatti i personaggi sono stati estremizzati al punto tale da diventare tre buffoni: tutto quello che viene tirato fino agli estremi diventi inevitabilmente grottesco.

-Insomma Diss(è)nten nasce anche dal bisogno di comunicazione libera e costruttiva: è lo scopo del teatro stesso. Se dico TEATRO\ LIBERTA' cosa vi viene in mente?
Partiamo dal presupposto che la libertà non è un dato di partenza ma un risultato.
Se il teatro è specchio (deformato) della vita, così come in essa ci sono compromessi di cui bisogna tener conto. Non ci si può sentire liberi quando si mette al mondo uno spettacolo. Il che non è un fatto negativo. La bellezza del teatro è saper giocare con le regole; il dato di arrivo quindi è trovare la libertà attraverso il riconoscimento dei limiti.
Inoltre la più grande libertà che il teatro riesce a prendersi è quel compromesso che si crea fra attore e pubblico: riconoscere la finzione ma accettarla e renderla sacra. Il teatro riesce, magicamente, tramite una grande finzione a raccontare una grande verità.


Giorgia Ciocia

venerdì 14 giugno 2013

Testimonianza esclusiva di una ragazza turca, Lettera di Berivan Keles




Cari lettori,
volevo informarvi di quello che sta accadendo in Turchia in questo momento e di come sono iniziate le cose, per ascoltare una fonte diretta.
Chi è stato ad Istanbul avrà visto Piazza Taksim. Si tratta di una delle più grandi aree aperte in città, che è stata protagonista fino a quest'anno di molte proteste, incontri, ecc. Nei pressi della piazza, dietro la fermata dell'autobus, c'è un parco chiamato "Gezi Park", che è una delle poche aree verdi della Città, nonché l'unico a Taksim. Pochi mesi fa il governo ha deciso di chiudere Piazza Taksim per il traffico automobilistico e aprirla solo per i pedoni. Tuttavia, secondo questo piano Gezi Park sarebbe stato abbattuto per far posto ad un edificio in memoria di un palazzo militare una volta lì presente.
I responsabili del progetto borbottano circa la sorte del palazzo, alcuni hanno detto che sta per essere costruito un centro commerciale (il novantaquattresimo in Città!) altri una sala conferenze, altri addirittura un residance (con appartamenti così costosi da poter essere acquistati "solo da chi già ne possiede altri nove" si dice  - mentre, oh, ci sono milioni di persone che vivono sotto la soglia minima di sopravvivenza), il Primo Ministro Erdogan ha detto che sta per essere costruita una sala d'Opera, ed una Moschea..
Siamo stufi di centri commerciali, fottuti grandi grattacieli e moschee in questa città! 
Quello che vogliamo fare è proteggere le poche aree verdi. 
Alcuni attivisti hanno già raccolto 50.000 firme per fermare i lavori, hanno preparato volantini informativi, hanno comunicato tramite i social media e hanno usato i loro diritti democratici citando in giudizio gli autori di questo piano.
Il giudice ha deciso per la non distruzione del parco, come si voleva, ma in qualche modo(!) la decisione è stata annullata da un altro tribunale. Gli attivisti non si sono fermati e l'azione legale è proseguita. Nel frattempo il primo ministro Erdogan ha detto che ormai "si è deciso" e nessuno può fare nulla al parco ora.
Pochi giorni fa, una notte, mezzi e attrezzature edili, escavatori, bulldozer sono entrati nel parco senza alcuna autorizzazione, in quanto la decisione non è stata fatta dall'ultimo tribunale. La gente, al massimo 50 persone, è andata al parco, ha fermato i veicoli e "occupato" Gezi Park in modo del tutto pacifico.
Portate le tende, si sono accampati nel parco, leggendo libri, cucinando, cantando e ballando assieme. Tuttavia, nelle seguenti due mattine, alle 5, la polizia ha attaccato i manifestanti pacifici in modo assolutamente violento e gratuito: usando gas lacrimogeni e idranti, dando fuoco alle tende con le persone che ci dormivano dentro, ma i manifestanti non sono andati via. Dopo il secondo attacco della polizia hanno organizzato una protesta sui social media, facendo appello a quelle 50.000 persone che avevano firmato.
Il 31 maggio è stato il giorno decisivo, e circa 200.000 persone si sono riunite in piazza Taksim e nelle zone limitrofe. Riunite, hanno protestato innanzi tutto contro la dittatura del Primo Ministro Erdogan, che vede se stesso come l'ultimo sultano ottomano e agisce in modo decisionista. Poi, contro il divieto di protestare in piazza Taksim (quest'anno anche il 1° maggio non è stato consentito in piazza Taksim), contro i recenti divieti di consumo di alcol, contro le espressioni fasciste del Governo rispetto ai diversi aspetti della società turca, contro le ingerenze del governo sul corpo delle donne (il PM ha detto che ogni donna deve partorire almeno tre figli, e i risultati dei test di gravidanza, oltre che l'uso di contraccettivi orali, sono registrati e vengono inviati a mariti o padri delle donne, PM insiste anche affinché l'aborto diventi illegale, così le donne che vogliono abortire, nei fatti, vanno incontro a maltrattamenti negli ospedali).
Per farla breve, molte persone avevano da dire qualcosa e hanno avuto la possibilità di manifestare per sé stesse. La risposta del governo si è avuta con la violenza brutale della polizia. Quel 31 maggio la polizia non ha permesso alle persone di entrare in piazza Taksim, ha chiuso tutti gli accessi alla piazza, usato spray al peperoncino, proiettili di gomma e acqua pressurizzata che contiene anche un qualche tipo di gas lacrimogeno su persone del tutto disarmate e senza protezione, la violenza su chi è stato bloccato non si è fatta attendere. Molte persone sono state arrestate solo perché protestavano, molti sono stati picchiati, ci sono stati molti feriti. La violenza della polizia si è incattivita. Non stavano solo obbedendo agli ordini, stavano, di propria iniziativa, colpendo la gente per le strade, danneggiavano le case e le auto, sparavano i capsuls spray al peperoncino diretti alla testa delle persone. In quel parco e in tutto il Paese le persone manifestavano contro la dittatura di Primo Ministro e contro la violenza della polizia.

Ormai da diversi giorni e notti, la gente unita, a prescindere da partiti o da appartenenze a gruppi particolari, si ribella alla polizia e resiste orgogliosamente ad armi, gas lacrimogeni, pestaggi. La protesta si è diffusa in molte altre città come Izmir, Ankara, Adana, Bursa, Eskişehir, Balıkesir, Mugla, Erzurum etc. La violenza della polizia è insopportabile. Hanno iniziato ad utilizzare un'altra sostanza chimica al posto dello spray al peperoncino, che viene chiamata "agente arancione", la stessa che ha causato 400.000 morti nella guerra del Vietnam. La gente catturata dalla polizia viene costantemente picchiata e torturata nelle camionette e nelle caserme, e le donne sono minacciate di essere violentate. La polizia non pare avere pietà nemmeno per bambini e anziani. Le persone devono scrivere i loro gruppi sanguigni sulle braccia, mostrandolo quando ferite. Le infermerie gestite dai manifestanti assistono persone con traumi cranici, fratture, occhi persi. Diverse persone sono morte, ormai, alcuni a causa delle ferite, altre perché rimaste bloccate nelle camionette.
I media subiscono censure da parte del governo, la maggior parte della gente che non ha accesso ai social network pensa ancora che siamo terroristi. Il primo ministro ha tenuto un discorso in una delle sue tv e ha detto che siamo un gruppo di alcolisti e predoni. Ha anche detto che il 50% del Paese (di suoi fedelissimi) era così arrabbiato per le proteste che voleva attaccare i manifestanti, ma è stato Erdogan stesso a non permetterglielo.

Sto studiando affari marittimi in una delle Università della Turchia. Prima di questo, non ho mai protestato per nulla, non mi sono mai espressa politicamente e non ho mai attaccato alcuna ideologia politica. Ma ho perso la mia imparzialità quando ho visto i miei amici per le strade ed i danni causati dalla polizia.
È facile capire la situazione turca, il Governo prima arresta 32 ragazzi per i loro commenti su Twitter, poi infiltra agenti tra i manifestanti mostrando in tv le violenze di questi "facinorosi".
Equiparano i manifestanti a terroristi, dicono che gettano fuochi d'artificio à-la molotov contro la polizia, che invece cerca il dialogo pacifico.
Il presidente, Recep Tayyip Erdogan ha detto `Non ci sarà alcun perdono d'ora in poi! `. Credete di aver visto perdono nei confronti dei manifestanti nei diversi video che girano su internet?
Molti avvocati vorrebbero difendere i manifestanti in piazza, e avrebbero tutto il titolo di farlo. Scendono in piazza con la toga, non si può arrestare un avvocato con la sua uniforme ma li hanno arrestati. E quando cercano di far valere le loro ragioni di fronte alle mancanze dei poliziotti, questi ribadiscono 'Volete sapere meglio di noi cos'è legale?'. 
Dalla parte della repressione arrivano anche i sostenitori di Erdogan, compreso il presidente della giovanile del AKP (Adalet ve Kalkınma Partisi - Partito per la Giustizia e lo Sviluppo) che contribuisce alle violenze. Molti video e foto ritraggono questi elementi difficilmente individuabili.

Ora, ti prego di riflettere su quanto hai appena letto. Ti senti davvero diverso da me? Non credo. Hai mai vissuto tali violenze?
Cari amici, per favore, per favore, ribellatevi per te e per me, per tutti gli amici di Turchia, per tutti i ricordi della Turchia se ci siete mai stati.
Sostieni le proteste contro il fascismo di Erdogan, supporta le proteste contro la repressione, sostieni la Democrazia!

Berivan Keles
(Tradotto da Michele Vacca e Nicola Carelli)

lunedì 10 giugno 2013

Recensione di "Ogni maledetto lunedì su due" - Luigi Tatulli


E’ da un bel po’ di anni che conduco una battaglia personale per il riconoscimento del linguaggio fumettistico come forma d’arte a tutti gli effetti, né superiore (forse), ma nemmeno inferiore a qualsiasi altra espressione artistica. E’ un percorso difficile, in quanto l’ignoranza collettiva (in Italia più che altrove, ovviamente) ha ormai etichettato il fumetto come “quella roba per bambini”, ignorando le infinite potenzialità dello strumento e tutto il lavoro che c’è dietro. Anni di fatiche immani degli autori finite nel cesso perché è “roba per bambini”, conclusione a cui si è arrivati, nella maggior parte dei casi, senza aver mai letto una cippa. Ma tiro avanti, nonostante i pianti di mia madre che si chiede dove mai avrà sbagliato e nonostante ci si mette persino mio fratello piccolo, prodotto di quest’era tecnologica, a guardarmi come se fossi un appestato.
E hai ragione, mi fermo qui!

Poi improvvisamente spuntano fuori autori come Michele Rech, in arte Zerocalcare, e ti rendi conto che vale la pena continuare su questa strada. Il nostro Michele, 29 anni, dopo vari progetti e collaborazioni che non vi sto ad elencare sennò due palle, nel novembre 2011 avvia un blog (
www.zerocalcare.it ), dove pubblica GRATUITAMENTE brevi storie a fumetti inizialmente ogni Lunedì, successivamente ogni Lunedì su due. In un paio d’anni Zerocalcare è passato dall’essere un perfetto sconosciuto a fenomeno! Il libro Ogni maledetto Lunedì su due (reperibile in qualsiasi fumetteria e libreria) raccoglie le storie pubblicate sul blog dal 21 Novembre 2011 al 18 Febbraio 2013, più 50 pagine inedite che fungono da filo conduttore della raccolta.
Come mai questo clamoroso successo in così breve tempo?
Perché Zerocalcare è riuscito a dar voce ad un intero spaccato generazionale! Nelle sue storie Michele parla del quotidiano, però mai in modo banale, impastando il tutto con toni umoristici (spesso humor nero) e riuscendo a narrare con un occhio critico e sagace. Il tutto infarcito di citazioni alla cultura pop (che strizzano l’occhio al lettore) non inserite a caso, ma sempre perfettamente coerenti con la trama e funzionali. E’ frequente immedesimarsi nei suoi racconti e ritrovarcisi. Epiche le storie “I vecchi che usano il pc” e “La fascia oraria delle bermuda”, andate a recuperarle sul blog immediatamente!

 Ma Zerocalcare non è solo umorismo fine a se stesso.
Michele è riuscito ad esprimere magistralmente anche (o meglio, soprattutto) disagi, inquietudini e timori dei giovani, sacrificati sull’altare della Democrazia in nome del dio Capitale.
Risate amare.
Perché, prima di tutto, stiamo parlando di un ragazzo di 29 anni come tanti, senza un posto di lavoro fisso, con addosso un forte senso di precarietà esistenziale (come tutti noi), senza fiducia in un futuro cupo e privo di punti di riferimento (bellissima, ma allo stesso tempo angosciante, la metafora della zattera…chi comprerà il libro potrà capirmi!).
Nelle storie di Zerocalcare (quasi tutte pregne di elementi autobiografici) troviamo anche riferimenti a Genova 2001. Lui c’era e ciò che è successo ha lasciato il segno. Genova 2001 è stato un punto di svolta, la fine dell’innocenza, il passaggio dall’infanzia all’età adulta in un colpo, il rendersi conto che il mondo è marcio, sporco e che i bastardi la fanno sempre franca.
Come riuscire a tirare avanti?

L’ironia.
L’ironia è un’arma di legittima difesa per restare a galla, per non diventare come loro, per non lasciarsi corrodere…
Ma più che l’ironia, soprattutto l’autoironia, che nei racconti di Zerocalcare non manca mai.
Perché una persona che si prende troppo sul serio è una persona pericolosa.

<<A Genova pigliai gli schiaffi dalla forestale. Prima, nella storia, era successo solo all’orso Yoghi>>.

Roba per bambini…

Vi consiglio di comprare
Ogni maledetto Lunedì su due (e meglio ancora, recuperate anche i suoi lavori precedenti: La profezia dell’armadillo e Un polpo alla gola).
Perché? Perché se lo merita.
Punto.

Luigi Tatulli

venerdì 7 giugno 2013

Qualcosa su "Razzismo e Cittadinanza" - Michele Vacca

Avevamo diverse cose da dire.
Questa è la verità, abbiamo sentito l’urgenza di mettere a dibattito, in modo orizzontale e da prospettive diverse, una tematica attuale quanto spigolosa, la prima presa in esame - a cui seguiranno altre, ed altri incontri.
“Razzismo e Cittadinanza – vieni a dire la tua” ha come motivo e causa la voglia di sperimentare un modo diverso di fare discussione, per oggetto, invece, la tematica più politica e meno politicizzata che l’attualità ci offre. Il rapporto immigrati-razzismo-diritti.
Ed è l’attualità, croce e delizia, che ci ha fornito gli spunti, gli input per la discussione, ed è dall’attualità e dai megafoni dell’attualità, media tradizionali e social network, che ha preso le mosse, nei diversi interventi, il dibattito.
I media, pretesto e occasione, strumento per la discussione. Rapporto complesso in cui facciamo attenzione a non rimanere impigliati, naturalmente, consci delle capacità dispersive e neutralizzanti.
La discussione -tenutasi al Cenacolo di Atrio San Nicola presso il Centro di Aggregazione Giovanile della Città di Bitonto- è partita con il commento da parte di Mattia Quaratino ad alcuni post, tweet, dichiarazioni di politici e "personaggioni" italiani sul tema immigrazione, l’ironia qui lasciava proprio l’amaro in bocca.
Un secondo intervento, il mio, ha mostrato, facendo continuo riferimento ad articoli di giornale, immagini televisive, siti d’informazione, la banalità razzista che l’attenzione mediatica morbosa e martellante ci presenta, dal caso Kabobo al dibattito sul ddl Cittadinanza della Kienge.
Un terzo intervento, Gaetano Santoruvo,  ci ha spiegato in modo semplice e analitico i passaggi contenuti all’interno della sciagurata legge Bossi-Fini, quella che crea il mostro giuridico dell’illegalità degli immigrati clandestini, mostrando -grazie anche ad alcune scene tratte dal film “Terraferma”- la disumanità e la contraddizione dei suoi regolamenti.
Una testimonianza diretta di razzismo delle istituzioni, impreparate e farraginose, è venuta da Ornela Xhemaj che ha raccontato la difficoltà di accedere alla cittadinanza italiana per lei, una ragazza albanese che da ben sedici anni vive a Bitonto, che rivendica i suoi diritti politici  per poter scegliere da chi essere rappresentata. Questo proprio nel momento in cui è massima la tentazione antipolitica nel nostro Paese, insomma noi "italiani" abbiamo molto da imparare proprio sul piano della cittadinanza da chi italiano fa fatica a diventarlo.
Un’altra testimonianza al riguardo, da un punto di vista differente, è stata quella di Federico Cuscito, attivista antirazzista infaticabile del Socrate Occupato, che ha descritto l’odissea che un ragazzo migrante può subire a causa delle contraddittorie e razziste leggi italiane “votate nel 2008 dall'intero arco parlamentare”.
Chiude gli interventi Gino Ancona, che dipinge il fenomeno migrazione come l’ennesimo riflesso dello Spettacolo mondiale in cui siamo immersi – un inedito Gino Situazionista a dire il vero.

Ps. Come annunciato ieri, il dibattito continua anche al di là degli incontri, “Rise up! Connettiti col mondo” nasce apposta. Cerchiamo di fare da cerniera virtuale per una discussione reale.
E di discussione reale c’è bisogno, a Bitonto e non solo, di discussione che coinvolga e che sia sciolta dai vincoli rigidi dei soliti seminari/dibattiti/conferenze.
Noi sperimenteremo ancora, stay tuned!

Michele Vacca


mercoledì 5 giugno 2013

STORIE DI ORDINARIA FOLLIA - Luigi Tatulli


Neanche il tempo fisiologico per indignarsi riguardo gli avvenimenti in Turchia, che subito le forze dell’ordine nostrane (o almeno una sostanziosa parte, non tutti certo), altrettanto indignate per l’eccessiva attenzione riservata ai colleghi di Istanbul, con uno scatto d’orgoglio hanno provato a riprendersi il palcoscenico. Il 2 Giugno è ancora fresco, ma i nostri paladini della giustizia non hanno voluto aspettare oltre per dimostrare che la parata militare con tutti gli onori e triccheballacche se la sono meritata.
Eccome.
Ma cos’è successo? Una centinaia di lavoratori dell’Ast di Terni ha partecipato stamattina allo sciopero di tutti i reparti dell’acciaieria, organizzato dai sindacati. La multinazionale finlandese Outokumpu, proprietaria del sito siderurgico, ha di recente acquistato il gruppo Inoxum dai tedeschi. Dunque, ora l’Ast non rientra più nei piani dei finlandesi ed è stato messo in vendita l’intero sito, per puntare su altri siti tedeschi (ma guarda un po’) meno efficienti e produttivi. Il rischio di chiusura, quindi, per lo stabilimento di Terni è altissimo. Roba già vista, insomma. Ordinaria amministrazione. “E i dipendenti che fine faranno?” si sono lecitamente domandati i nostri. “Cazzi loro”, l’elegante risposta.
Chapeau, gentil multinazionale finlandese Outokumpu.
Ed eccoci quindi allo sciopero di stamattina, organizzato in piena regola. Il tutto sarebbe dovuto durare quattro ore, dalle 9 alle 13, con un corteo PACIFICO (partito dai cancelli dell’Ast) che avrebbe dovuto raggiungere come meta la Prefettura. Intorno alle 10, il corteo era nei pressi della stazione e qualcosa è successo. Probabilmente qualche servitore dello Stato ha riconosciuto in mezzo alla folla i boss mafiosi di tutta Italia ritrovatisi a Terni per una simpatica rimpatriata, probabilmente l’effetto serra che ormai non ci sono più le mezze stagioni, insomma qualche molla è scattata. All’ingresso della stazione, le forze dell’ordine partono alla carica. (Consiglio: immaginatevi il tutto con questa in sottofondo http://www.youtube.com/watch?v=6-8ZlJU-bN8 , rende bene eh?). E ce la mettono tutta, bisogna darne atto! C’è in gioco il destino dell’umanità, l’eterna lotta tra bene e male, si decide tutto qui! E i poliziotti menano, sorridono mentre immaginano i titoli dei giornali “Pericolosissimi black block armati di raggi laser attaccano cuccioli di poliziotti armati solo delle fionde di legno costruite quando erano bambini”. Ed eccoli, caricano ad occhi chiusi, senza guardare in faccia a niente e nessuno.
Pessima scelta.
Confermando la loro fama di premi Nobel, ma tu guarda chi vanno a colpire…
IL SINDACO!
Ma non un sindaco appartenente a qualche partitino che a livello nazionale è all’ 1.5%, no signori…..è schieramento PD! Per mano della polizia il sindaco, Leopoldo Di Girolamo, “ha riportato una ferita lacero contusa, con perdita ematica” (ricostruzione fornita dal Comune).



Vi è sembrato strano, leggendo su Repubblica.it l’indignazione da parte dei giornalisti per il gesto delle forze dell’ordine eh? No,no..i paladini della libera informazione (prrrr!) non vi hanno fatto lo scherzone. Stavolta c’è di mezzo un sindaco (dimenticavo, ci sono anche operai feriti, ma chissene). Stavolta niente black-block, niente anarco-insurrezionalisti a cui dare la colpa. Il giochino stavolta non si è potuto fare.
Tiè!

Comunque, precisiamo che il sindaco non è in condizioni gravi ed è già pronto a far chiarezza sulla situazione. Complimenti sinceri a Leopoldo Di Girolamo, un sindaco che sfila in prima linea a difesa dei lavoratori è cosa rara qui in Italia. Tanto di cappello, davvero. E insieme al sindaco c’erano assessori e consiglieri. Metà giunta comunale per strada a rischiare di prenderle seriamente, al fianco dei lavoratori. Forse non è vero che sono tutti uguali, che dite? Le istituzioni repubblicane e democratiche a volte sanno difendere il territorio, i cittadini, i lavoratori. Mi auguro che l’episodio di Terni sia simbolo ed esempio. Quale risposta migliore alla cancerogena moda dell’antipolitica?
Che dire, in Turchia c’è un improvviso risveglio…in Italia si dorme ancora. Ma ogni tanto succede qualcosa, nonostante si cerchi di oscurare o di distorcere l’informazione. Penso a questa vicenda, ma anche agli scontri davanti all’Ikea a Piacenza (Novembre 2012), penso ai pestaggi selvaggi a Palermo, ai danni dei lavoratori della Trinacria (Aprile 2013), penso alle botte ai lavoratori Sea in sciopero a Malpensa (Aprile 2013), penso a tante altre realtà. Il problema è che qui in Italia non abbiamo organizzazione e non abbiamo costanza. La fiamma si spegne sul nascere. “E’ intelligente, ma non si applica” direbbero i miei professori. Immagino l’Italia come un bambinone che dorme…dorme…dorme…poi ogni tanto succedono questi episodi. E’ come se il bambinone sta dormendo, ma all’improvviso una zanzara va a stuzzicarlo, disturbandogli il sonno. E il nostro bambinone che fa? Non è che apre gli occhi e spiaccica quel parassita…semplicemente si volta dall’altro lato e continua a dormire (male pure). Oppure, avete presente quando è notte fonda e vi viene lo stimolo di andare in bagno e bestemmiate l’intero albero genealogico dell’umanità? Avete presente vero, quando meditate se sia meglio alzarsi e levarsi il fastidio o restare a dormire perché il sonno vi impedisce di fare un semplice avanti e indietro dal bagno?
Ci siete?
Bene, l’ Italia è quello che decide di non alzarsi e rischiare di innaffiare il letto. Non costerebbe nulla alzare le chiappe per arrivare in bagno. Eppure resta a dormire. E se glielo fai notare che si sta comportando da idiota, che le lenzuola sono nuove e poi chi le lava, se ti permetti di fare questi piccolo accorgimenti di BUON SENSO…si offende pure e si incazza (in questo le energie non mancano mai).
Sveglia Italia, pisciare è piacevole, non costa nulla…e soprattutto è naturale!

Luigi Tatulli



TRA SIONISMO ED ANTISEMITISMO, OLTRE UN MURO DI BUGIE (I parte) - Vito Pagone, Altea Pericoli






La storia è testimone dei tempi. E’ necessario che essa appaia nella sua completezza e non che venga utilizzata per servire gli interessi del presente. Utopico.

La storiografia contemporanea, i mass media e l’ informazione di massa, ci hanno abituato all’idea che le radici del conflitto Israeliano - Palestinese siano per lo più di carattere religioso, e che tutto nasca, in effetti, a partire dal 1948 o piuttosto dal 1967. Ecco perché, ad avviso di chi scrive, fondamentale - per quanto impossibile - sarebbe abbandonare per un momento l’idea sconnessa e deforme che i mezzi di comunicazione parziali ed irresponsabili imprimono nelle nostre menti, disegnando un immaginario collettivo che assomiglia per nulla alla realtà. Abbiamo assoluto bisogno di sapere che ci sia un colpevole, o semplicemente di non voler capire e cambiare canale…
Il secondo esercizio mentale, sarebbe ripercorrere le fasi precedenti alla fondazione dello stato libero di Israele, che a nostro avviso - e non solo - risultano essere i momenti ove rintracciare le reali origini e cause dell’ apartheid e segregazione razziale che patisce oggi il popolo Palestinese.
Premettiamo che l’analisi, e la riflessione che ne scaturiranno, vogliono essere il meno possibile presuntuose, e giungere effettivamente a definire il perché, ad oggi, il conflitto permanga.
A ben guardare, le cause del conflitto, più che religiose, appaiono politiche ed economiche… Ma quale politica può permettere tutto ciò?
A nostro avviso il primo momento fondamentale da cui partire è sicuramente, la Conferenza di Berlino 1884-1885 (conferenza dell’Africa Occidentale che regolò il commercio europeo in Africa centro-occidentale nelle aree dei fiumi Congo e Niger .) Nell’occasione le principali potenze europee, stilarono un lungo elenco di c.d. "Terre nullius" (terre di nessuno), le terre che erano passibili di occupazione e colonizzazione non appartenendo a nessun popolo, o meglio, erano considerate “di nessuno” proprio perchè i popoli che ci vivevano, anche da millenni, non erano considerate popolazioni che esercitassero effettiva autoritativià sul loro territorio. La Palestina, dal 1400 di propietà dell'Impero Ottomano, rientrò nell’elenco come appunto: “terra di nessuno”, nonostante fosse abitata da sempre dagli arabo palestinesi di religione islamica e da minoranze arabo ebraiche e cristiane che, da sempre, convivevano pacificamente con i primi.
Su questo presupposto, si passa poi ad un altro elemento scriminante. Intorno alla metà del secolo si era messo in moto un processo di matrice ebraica, che mirava a porre fine alla propria diaspora, per mezzo della fondazione di uno stato Ebraico, autonomo ed indipendente, che permettesse la realizzazione del mito millenario del :“ritorno alla terra promessa”.
La prospettiva di una patria per un popolo senza terra, fu accolta in particolar modo, dal movimento Sionista, che nasceva proprio in quegli anni. Il termine sionismo (da Siòn o Siònne, nome della collina di Gerusalemme dove sorge la parte più antica della città e appellativo con il quale, per estensione, gli Ebrei chiamano Gerusalemme) viene utilizzato per indicare il movimento politico di stampo nazionalista che ha sostenuto la necessità di preservare, incrementare e diffondere la coscienza dell'appartenenza alla cultura ebraica attraverso la creazione di uno Stato nazionale ebraico.
Secondo Herzl la necessità di procedere, verso la creazione di uno stato ebraico, sarebbe dovuta avvenire attraverso tre fasi procedurali distinte, ma interdipendenti. La prima fase sarebbe stata la costruzione, all'interno delle comunità ebraiche sparse nel mondo, di una coscienza politica sionista, ovvero della consapevolezza che soltanto l'edificazione di uno stato ebraico può risolvere definitivamente la «questione ebraica», sottraendo gli Ebrei alle vessazioni e alle persecuzioni di cui erano fatti oggetto soprattutto nell'Europa orientale, in Russia e in Polonia. In secondo luogo, la creazione di istituzioni e di organi statuali ebraici, caratterizzati dalla capacità di conciliare le libertà politiche del sistema liberale con le aspirazioni alla giustizia sociale propugnate dai movimenti socialisti. Infine La ricerca del consenso delle grandi potenze, che avrebbero dovuto assumere il ruolo di garanti della costituzione di uno stato ebraico indipendente, preferibilmente in Palestina.
Queste teorie vennero riproposte l’anno successivo in occasione del primo Congresso Sionista Mondiale, su iniziativa dello stesso Herzl, che si tenne a Basilea dal 29 al 31 agosto 1897, congeniato in modo da costituire un movimento permanente grazie all’istituzione dell’ Organizzazione Sionista.
il movimento sionista diede immediatamente impulso, all'attuazione parallela di tutte e tre le fasi del programma di Basilea. A Londra tra il 1899 e il 1900 vennero persino fondati organismi internazionali privati, ritenuti indispensabili per la realizzazione degli scopi del movimento: la Banca Nazionale Ebraica (Jewish Colonial Trust) per raccogliere e amministrare gli ingenti capitali necessari all'acquisto dei territori Palestinesi, ed Il Fondo Nazionale Ebraico (Keren Kayemet Leisrael) per l'acquisto dei terreni stessi. Tra i principali finanziatori del movimento Sionista vi erano lobby di potere e grandi facoltosi ebrei dell’epoca, si pensi che Edmond James de Rothschild, tra i più ricchi banchieri del mondo, acquistò il primo sito in terra Palestinese.
Ad ogni modo, il pensiero Sionista nonostante godesse di ingenti finanziamenti privati ed i suoi componenti fossero radicati all’interno dei poteri politici, nasceva già come minoritario nel dibattito intelletuale interno alla comunità ebraica d’Europa. La dottrina maggioritaria di fatti, da liberisti, a laico-socialisti, ammetteva sì la necessità di una patria per il popolo ebraico, bensì non accettava come identificazione della stessa, la terra di Palestina. Era da scongiurare, infatti, qualsiasi minaccia di derive fanatico-religiose che l’appoggio al movimento Sionista avrebbe potuto comportare.
La svolta decisiva giunge in piena Prima guerra mondiale, all'ingresso delle truppe britanniche a Gerusalemme, strappata all'esercito ottomano nel dicembre 1917, infatti, il Regno Unito si impegna, con una lettera del Segretario per gli Affari Esteri Arthur James Balfour destinata a -guarda caso- Lord Lionel Walter Rothschild, membro del movimento sionista inglese, a mettere a disposizione del movimento nazionalista, in caso di vittoria, dei territori in Palestina per costituire un "focolare nazionale". Il documento, porta il nome di Dichiarazione di Balfour 2 novembre 1917… « Il governo di Sua Maestà vede con favore la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico, e si adopererà per facilitare il raggiungimento di questo scopo, essendo chiaro che nulla deve essere fatto che pregiudichi i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche della Palestina, né i diritti e lo status politico degli ebrei nelle altre nazioni ». Mai nulla è stato fatto nel rispetto di questa dichiarazione.
Ci pervengono persino affermazioni dello stesso Herlz (ormai esponente massimo dell’ala moderata dell’organizzazione sionista) che si interrogava sul trattamento da riservare alla popolazione Palestinese lì residente, che sarebbe stata espulsa : “Dovremo sforzarci di espellere le popolazioni povere dall’altro lato della frontiera”; “Quando occuperemo le terre dovremo espropriare gentilmente la proprietà privata degli stati che ci saranno affidati”. L’espulsione, tuttavia, non era l’unico mezzo di sottomissione della popolazione indigena, il piano strategico prevedeva in realtà una soluzione finale diversa : “la popolazione araba sarebbe giusto adatta per servire ai bisogni coloniali degli ebrei”. In maniera chiara veniva così esplicitato il progetto sionista nei confronti dei circa seicentomila palestinesi che allora vivevano in Palestina: schiavitù o espulsione.
E’ chiaro dunque, come l’idea dello stato di Israele nasca sostanzialmente ispirandosi all’uso del terrore su larga scala, della colonizzazione, spoliazione, umiliazione e vessazione del popolo Palestinese indigeno… Ma vediamo.
Dalla dichiarazione di Balfour, fino al 1947, assistiamo ai primi asprissimi scontri tra i residenti Arabi e i colonizzatori Ebrei sedati duramente dall’esercito Britannico che occupava militarmente il territorio, garantendo allo stesso tempo l’immigrazione Ebraica. Le osilità non accennavano a mitigarsi nemmeno con l’intervento politico Inglese che imponeva piani di spartizione del territorio. La situazione cominciò a complicarsi irreversibilmente con lo scoppio della seconda guerra mondiale, i flussi migratori ebraici aumentarono a dismisura a causa della persecuzione Nazista in Europa, nacquero organizzazioni terroriste ebraiche, anch’esse di ispirazione nazionalista, (es. l'Irgun Zwai Leum, la banda Stern, Haganah ) che perpetuarono violenze, e persecuzioni ai danni della popolazione civile Palestinese e attacchi persino all’esercito Britannico.
La risoluzione comunque, non fu mai accettata dai Palestinesi espropriati, e fu oggetto di denuncia degli altri stati arabi per l’iniquità della spartizione che vedeva il popolo Palestinese penalizzato, espropriato e defraudato dei propri diritti.


Fondatore del pensiero Sionista è considerato Theodor Herzl, giornalista Ashkenazita assimilato suddito dell'Impero austro-ungarico. Herzl si impose nel dibattito interno agli ebrei d’ Europa con il suo libro : Der Judenstaat del 1896, opera che viene tutt’ora considerata il manifesto politico-programmatico del pensiero Sionista.

Non avendo ottenuto il sostegno ufficiale dell'Impero Ottomano, (il territorio in questione era conteso dalle più grandi potenze coloniali dell’epoca, per la vicinanza al canale di Suez, strategico dal punto di vista commerciale) fino al 1917 l'Organizzazione Sionista perseguì comunque l'obiettivo della costruzione di una patria in Palestina, mediante una strategia di immigrazione su piccola scala (c.d. aliyah), grazie agli ingenti finanziamenti di cui il movimento stesso godeva.


Da segnalare che il 16 settembre 1948, il mediatore delle Nazioni Unite, lo svedese conte Folke Bernadotte, aprì un’inchiesta di denuncia delle violenze Sioniste a danno dei residenti palestinesi. Il giorno successivo, lo stesso Bernadotte fu assassinato da Yehoshua Cohen e Nathan Friedman-Yellin, attivisti Sionisti, che non solo non furono mai puniti dalle autorità Israeliane, ma entrarono successivamente a far parte del governo dello stato di Israele.


Nel 1947, l'Inghilterra rinunciò al mandato di permanenza in terra di Palestina, annunciando il ritiro delle truppe entro un anno. Nello stesso anno le Nazioni Unite approvano il piano di spartizione della Palestina che concede agli Ebrei Israeliani che costituivano ora il 33% della popolazione, il 56% dei territori e l'80% delle terre coltivate a grano. Il 42% della terra di Palestina, veniva invece lasciato agli Arabi Palestinesi, che venivano penalizzati ulteriormente per non avere più sbocco sul mare e nessun collegamento con l'Egitto. A questo punto l’invasione Israeliana, e la comunità di Ebrei Israeliani ormai stabilitasi in Palestina attraverso i piani di immigrazione su piccola scala, nonostante radicatasi nel territorio con la forza, trova finalmente la sua legittimazione ad abitare le terre Arabe della Palestina in una risoluzione delle Nazioni Unite.


Continua

Vito Pagone, Altea Pericoli

venerdì 31 maggio 2013

Creare è resistere

"Creare è resistere, resistere è creare" scriveva S. Hessel rivolgendosi ai figli di questo tempo.

Il nuovo millennio sembra ormai piegarsi sotto il potere della comunicazione di massa, dell'emozione virtuale, dei miti anti eroici che non fanno altro che avvelenare le menti e sacrificarle al dio Denaro e al dio Conformismo. Con gioiosa fortuna dai meandri più nascosti qualcosa resiste ancora, lotta e si fa spazio: quel qualcosa é l'Arte. Probabilmente se si pensa ad essa associandola unicamente ai grandi miti del passato come Tiziano, Raffaello o Leonardo potrebbe apparirci morta. Ma se spostiamo la lente del nostro osservare comune ci si accorge che ciò che è cambiato è il mezzo attraverso cui si manifesta (soprattutto fra i giovani): alla tela e alla tavolozza vengono preferite la musica e la lettura. Sembrerebbe contraddittorio ma entrambe sono figlie di quel mondo immenso che viene definito Arte costituendo un punto fra i mille del suo grande potere espressivo. A questo proposito sorge spontanea la domanda sul perché riesca a farsi spazio fra i giovani e con maggiore successo solo questa faccia del grande mondo. La risposta la si trova nella loro "praticità", nel loro saper colpire dritto al punto senza che il destinatario abbia precise competenze ma che sia guidato nel modo più spontaneo dal desiderio di lasciarsi stupire. E in tutto questo l'arte fra le più antiche, il teatro, che ruolo occupa? Nonostante la scarsa popolarità dovuta particolarmente da questo processo di massificazione, è forse il figlio più completo che la Grande Madre abbia potuto partorire. Basti pensare a tutto quello che racchiude in sé: musica,parola, movimento, contatto diretto fra interlocutore e destinatario. Al teatro basta poco: scopi comuni, volontà di condivisione, capacità d'ascolto, l'amore per la scoperta. E cos'è tutto questo se non il punto di partenza per una società che può definirsi tale?L'arte non troverà mai una fine perché, come dice un simpatico libraio bitontino, il più grande dono che abbia potuto farci è quello di averci reso umani nel senso più stretto del termine. E allora fin quando ci sarà qualcuno che sentirà la necessità di condividere, di stupire e di lasciarsi stupire ancora, fin quando esisteranno "umani", l'Arte non morirà mai.

Giorgia Ciocia

Poesia di Giulia Abbadessa

Queste parole sono scritte
col sangue mestruale delle partigiane
e con lo sperma dei partigiani
che hanno fottuto il tumore tirannico.
Hanno sputato denti e rabbia
e i loro stomaci si sono svuotati delle farfalle
che ci dormivano.
Hanno partorito dalle loro gole la loro madre:
Libertà, ti vediamo ancora nei campi
correre sui cavalli dalle vene pulsanti.
Il sangue dei giusti macchierà la terra
ma vi germoglieranno mille papaveri rossi.
L’inchiostro scorrerà emoragico
per inneggiare te , mia Libertà,
ma non saranno la parole di un poeta a lusingarti,
ma il ruggito del debole che si fa salvatore
e dalla croce ti tirerà via,
strapperà la corona di spine
con la quale ti hanno cinto le tempie
e noi non attenderemo la tua resurrezione
poiché dalla porte sei immune.
Sei stata cagna randagia grondante parassiti,
sei stata puttana degli angeli rossi,
narcotizzata e violentata.
Ma adesso, noi,
figli di un dio ubriaco
chiediamo asilo al tuo ventre,
torneremo feti e cresceremo nel tuo corpo.
Congiungi le nostre mani in preghiera
e non ci indurre in schiavitù
ma liberaci dal male. Giulia Abbadessa

giovedì 30 maggio 2013

Assemblea aperta su "Razzismo e cittadinanza" giovedì 6 giugno

Il Centro di Aggregazione Giovanile di Bitonto promuove per giovedì 6 giugno un'assemblea pubblica dal titolo "Razzismo e cittadinanza".
La questione del diritto alla cittadinanza per chi è escluso dalla possibilità di avere ogni diritto, l'immigrato, il clandestino "illegale", si è imposta agli altari della discussione pubblica in questo momento di crisi generale e la nomina della Ministra Kyenge ne è l'esempio per eccellenza.
Parallelamente risaltano all'attenzione mediatica anche fenomeni di irrazionale violenza e controviolenza, tra sangue e assalti.
Intellettuali e politici di tutta Europa lanciano appelli per scongiurare l'ondata di razzismo alle porte del malmesso vecchio continente, in un clima di arretramento culturale oltreché economico.

Alla luce di tutto questo l'appuntamento del 6 giugno ha l'intento di far nascere un dibattito vivo, vero, non impostato, superando la modalità conferenziale classica. "Vieni a dire la tua" lo slogan che intende intercettare pareri, opinioni, testimonianze, racconti ti tutti e tutte.

giovedì 23 maggio 2013

Amo la Libertà, Rise Up!

“Amo la libertà della stampa più in considerazione dei mali che previene che per il bene che essa fa” - Alexis de Tocqueville.
Purtroppo la lezione di Tocqueville in Italia è stata recepita male, se non malissimo, visto che nel 2009 il Belpaese veniva declassato nella classifica sulla libertà d’informazione stilata da “Freedom of the Press” a “Paese parzialmente libero”. Da allora ad oggi sono passati quattro anni e a causa dei tagli lineari ai fondi per la stampa operato dal governo dei Tecnici il panorama dell’informazione si è ulteriormente ristretto, la libertà di stampa è un “lusso in tempo di crisi”, il pluralismo (esattamente ciò che voleva difendere il vecchio Tocqueville) è ridotto all’osso, le libertà in generale non stanno affatto bene, i mali non prevenuti sono enormi.
Queste alcune considerazioni che ci spingevano a riempire un vuoto. 
Allora nasce “Rise up”, il blog del centro d’aggregazione giovanile, tentativo dal basso di dare voce alle giovani generazioni di Bitonto – e non solo  attraverso gli strumenti telematici, dal social network al blog.
Liberi e lucidi per guardare al presente e al futuro, con uno sguardo critico verso la nostra cittadina e verso il mondo intero, “rise up” è l’espressione che ci mette in connessione all’intelligenza, all’inquietudine, alle agitazioni, alla passione della nostra generazione con un respiro euromediterraneo. 
Rise up, connettiti col mondo!