mercoledì 5 giugno 2013

TRA SIONISMO ED ANTISEMITISMO, OLTRE UN MURO DI BUGIE (I parte) - Vito Pagone, Altea Pericoli






La storia è testimone dei tempi. E’ necessario che essa appaia nella sua completezza e non che venga utilizzata per servire gli interessi del presente. Utopico.

La storiografia contemporanea, i mass media e l’ informazione di massa, ci hanno abituato all’idea che le radici del conflitto Israeliano - Palestinese siano per lo più di carattere religioso, e che tutto nasca, in effetti, a partire dal 1948 o piuttosto dal 1967. Ecco perché, ad avviso di chi scrive, fondamentale - per quanto impossibile - sarebbe abbandonare per un momento l’idea sconnessa e deforme che i mezzi di comunicazione parziali ed irresponsabili imprimono nelle nostre menti, disegnando un immaginario collettivo che assomiglia per nulla alla realtà. Abbiamo assoluto bisogno di sapere che ci sia un colpevole, o semplicemente di non voler capire e cambiare canale…
Il secondo esercizio mentale, sarebbe ripercorrere le fasi precedenti alla fondazione dello stato libero di Israele, che a nostro avviso - e non solo - risultano essere i momenti ove rintracciare le reali origini e cause dell’ apartheid e segregazione razziale che patisce oggi il popolo Palestinese.
Premettiamo che l’analisi, e la riflessione che ne scaturiranno, vogliono essere il meno possibile presuntuose, e giungere effettivamente a definire il perché, ad oggi, il conflitto permanga.
A ben guardare, le cause del conflitto, più che religiose, appaiono politiche ed economiche… Ma quale politica può permettere tutto ciò?
A nostro avviso il primo momento fondamentale da cui partire è sicuramente, la Conferenza di Berlino 1884-1885 (conferenza dell’Africa Occidentale che regolò il commercio europeo in Africa centro-occidentale nelle aree dei fiumi Congo e Niger .) Nell’occasione le principali potenze europee, stilarono un lungo elenco di c.d. "Terre nullius" (terre di nessuno), le terre che erano passibili di occupazione e colonizzazione non appartenendo a nessun popolo, o meglio, erano considerate “di nessuno” proprio perchè i popoli che ci vivevano, anche da millenni, non erano considerate popolazioni che esercitassero effettiva autoritativià sul loro territorio. La Palestina, dal 1400 di propietà dell'Impero Ottomano, rientrò nell’elenco come appunto: “terra di nessuno”, nonostante fosse abitata da sempre dagli arabo palestinesi di religione islamica e da minoranze arabo ebraiche e cristiane che, da sempre, convivevano pacificamente con i primi.
Su questo presupposto, si passa poi ad un altro elemento scriminante. Intorno alla metà del secolo si era messo in moto un processo di matrice ebraica, che mirava a porre fine alla propria diaspora, per mezzo della fondazione di uno stato Ebraico, autonomo ed indipendente, che permettesse la realizzazione del mito millenario del :“ritorno alla terra promessa”.
La prospettiva di una patria per un popolo senza terra, fu accolta in particolar modo, dal movimento Sionista, che nasceva proprio in quegli anni. Il termine sionismo (da Siòn o Siònne, nome della collina di Gerusalemme dove sorge la parte più antica della città e appellativo con il quale, per estensione, gli Ebrei chiamano Gerusalemme) viene utilizzato per indicare il movimento politico di stampo nazionalista che ha sostenuto la necessità di preservare, incrementare e diffondere la coscienza dell'appartenenza alla cultura ebraica attraverso la creazione di uno Stato nazionale ebraico.
Secondo Herzl la necessità di procedere, verso la creazione di uno stato ebraico, sarebbe dovuta avvenire attraverso tre fasi procedurali distinte, ma interdipendenti. La prima fase sarebbe stata la costruzione, all'interno delle comunità ebraiche sparse nel mondo, di una coscienza politica sionista, ovvero della consapevolezza che soltanto l'edificazione di uno stato ebraico può risolvere definitivamente la «questione ebraica», sottraendo gli Ebrei alle vessazioni e alle persecuzioni di cui erano fatti oggetto soprattutto nell'Europa orientale, in Russia e in Polonia. In secondo luogo, la creazione di istituzioni e di organi statuali ebraici, caratterizzati dalla capacità di conciliare le libertà politiche del sistema liberale con le aspirazioni alla giustizia sociale propugnate dai movimenti socialisti. Infine La ricerca del consenso delle grandi potenze, che avrebbero dovuto assumere il ruolo di garanti della costituzione di uno stato ebraico indipendente, preferibilmente in Palestina.
Queste teorie vennero riproposte l’anno successivo in occasione del primo Congresso Sionista Mondiale, su iniziativa dello stesso Herzl, che si tenne a Basilea dal 29 al 31 agosto 1897, congeniato in modo da costituire un movimento permanente grazie all’istituzione dell’ Organizzazione Sionista.
il movimento sionista diede immediatamente impulso, all'attuazione parallela di tutte e tre le fasi del programma di Basilea. A Londra tra il 1899 e il 1900 vennero persino fondati organismi internazionali privati, ritenuti indispensabili per la realizzazione degli scopi del movimento: la Banca Nazionale Ebraica (Jewish Colonial Trust) per raccogliere e amministrare gli ingenti capitali necessari all'acquisto dei territori Palestinesi, ed Il Fondo Nazionale Ebraico (Keren Kayemet Leisrael) per l'acquisto dei terreni stessi. Tra i principali finanziatori del movimento Sionista vi erano lobby di potere e grandi facoltosi ebrei dell’epoca, si pensi che Edmond James de Rothschild, tra i più ricchi banchieri del mondo, acquistò il primo sito in terra Palestinese.
Ad ogni modo, il pensiero Sionista nonostante godesse di ingenti finanziamenti privati ed i suoi componenti fossero radicati all’interno dei poteri politici, nasceva già come minoritario nel dibattito intelletuale interno alla comunità ebraica d’Europa. La dottrina maggioritaria di fatti, da liberisti, a laico-socialisti, ammetteva sì la necessità di una patria per il popolo ebraico, bensì non accettava come identificazione della stessa, la terra di Palestina. Era da scongiurare, infatti, qualsiasi minaccia di derive fanatico-religiose che l’appoggio al movimento Sionista avrebbe potuto comportare.
La svolta decisiva giunge in piena Prima guerra mondiale, all'ingresso delle truppe britanniche a Gerusalemme, strappata all'esercito ottomano nel dicembre 1917, infatti, il Regno Unito si impegna, con una lettera del Segretario per gli Affari Esteri Arthur James Balfour destinata a -guarda caso- Lord Lionel Walter Rothschild, membro del movimento sionista inglese, a mettere a disposizione del movimento nazionalista, in caso di vittoria, dei territori in Palestina per costituire un "focolare nazionale". Il documento, porta il nome di Dichiarazione di Balfour 2 novembre 1917… « Il governo di Sua Maestà vede con favore la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico, e si adopererà per facilitare il raggiungimento di questo scopo, essendo chiaro che nulla deve essere fatto che pregiudichi i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche della Palestina, né i diritti e lo status politico degli ebrei nelle altre nazioni ». Mai nulla è stato fatto nel rispetto di questa dichiarazione.
Ci pervengono persino affermazioni dello stesso Herlz (ormai esponente massimo dell’ala moderata dell’organizzazione sionista) che si interrogava sul trattamento da riservare alla popolazione Palestinese lì residente, che sarebbe stata espulsa : “Dovremo sforzarci di espellere le popolazioni povere dall’altro lato della frontiera”; “Quando occuperemo le terre dovremo espropriare gentilmente la proprietà privata degli stati che ci saranno affidati”. L’espulsione, tuttavia, non era l’unico mezzo di sottomissione della popolazione indigena, il piano strategico prevedeva in realtà una soluzione finale diversa : “la popolazione araba sarebbe giusto adatta per servire ai bisogni coloniali degli ebrei”. In maniera chiara veniva così esplicitato il progetto sionista nei confronti dei circa seicentomila palestinesi che allora vivevano in Palestina: schiavitù o espulsione.
E’ chiaro dunque, come l’idea dello stato di Israele nasca sostanzialmente ispirandosi all’uso del terrore su larga scala, della colonizzazione, spoliazione, umiliazione e vessazione del popolo Palestinese indigeno… Ma vediamo.
Dalla dichiarazione di Balfour, fino al 1947, assistiamo ai primi asprissimi scontri tra i residenti Arabi e i colonizzatori Ebrei sedati duramente dall’esercito Britannico che occupava militarmente il territorio, garantendo allo stesso tempo l’immigrazione Ebraica. Le osilità non accennavano a mitigarsi nemmeno con l’intervento politico Inglese che imponeva piani di spartizione del territorio. La situazione cominciò a complicarsi irreversibilmente con lo scoppio della seconda guerra mondiale, i flussi migratori ebraici aumentarono a dismisura a causa della persecuzione Nazista in Europa, nacquero organizzazioni terroriste ebraiche, anch’esse di ispirazione nazionalista, (es. l'Irgun Zwai Leum, la banda Stern, Haganah ) che perpetuarono violenze, e persecuzioni ai danni della popolazione civile Palestinese e attacchi persino all’esercito Britannico.
La risoluzione comunque, non fu mai accettata dai Palestinesi espropriati, e fu oggetto di denuncia degli altri stati arabi per l’iniquità della spartizione che vedeva il popolo Palestinese penalizzato, espropriato e defraudato dei propri diritti.


Fondatore del pensiero Sionista è considerato Theodor Herzl, giornalista Ashkenazita assimilato suddito dell'Impero austro-ungarico. Herzl si impose nel dibattito interno agli ebrei d’ Europa con il suo libro : Der Judenstaat del 1896, opera che viene tutt’ora considerata il manifesto politico-programmatico del pensiero Sionista.

Non avendo ottenuto il sostegno ufficiale dell'Impero Ottomano, (il territorio in questione era conteso dalle più grandi potenze coloniali dell’epoca, per la vicinanza al canale di Suez, strategico dal punto di vista commerciale) fino al 1917 l'Organizzazione Sionista perseguì comunque l'obiettivo della costruzione di una patria in Palestina, mediante una strategia di immigrazione su piccola scala (c.d. aliyah), grazie agli ingenti finanziamenti di cui il movimento stesso godeva.


Da segnalare che il 16 settembre 1948, il mediatore delle Nazioni Unite, lo svedese conte Folke Bernadotte, aprì un’inchiesta di denuncia delle violenze Sioniste a danno dei residenti palestinesi. Il giorno successivo, lo stesso Bernadotte fu assassinato da Yehoshua Cohen e Nathan Friedman-Yellin, attivisti Sionisti, che non solo non furono mai puniti dalle autorità Israeliane, ma entrarono successivamente a far parte del governo dello stato di Israele.


Nel 1947, l'Inghilterra rinunciò al mandato di permanenza in terra di Palestina, annunciando il ritiro delle truppe entro un anno. Nello stesso anno le Nazioni Unite approvano il piano di spartizione della Palestina che concede agli Ebrei Israeliani che costituivano ora il 33% della popolazione, il 56% dei territori e l'80% delle terre coltivate a grano. Il 42% della terra di Palestina, veniva invece lasciato agli Arabi Palestinesi, che venivano penalizzati ulteriormente per non avere più sbocco sul mare e nessun collegamento con l'Egitto. A questo punto l’invasione Israeliana, e la comunità di Ebrei Israeliani ormai stabilitasi in Palestina attraverso i piani di immigrazione su piccola scala, nonostante radicatasi nel territorio con la forza, trova finalmente la sua legittimazione ad abitare le terre Arabe della Palestina in una risoluzione delle Nazioni Unite.


Continua

Vito Pagone, Altea Pericoli

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