sabato 22 giugno 2013

VicoQuartoMazzini, chi? - Giorgia Ciocia

Rise up per la rubrica di Arte&Cultura ha voluto incontrare VicoQuartoMazzini, una compagnia teatrale di Terlizzi che nonostante i suoi pochi anni di vita, riesce a girare fra i vari teatri italiani, aggiudicandosi perfino il "premio della critica" al Playfestival di Milano.
Così...

-Chi è e chi sono VicoQuartoMazzini?
VicoQuartoMazzini è una compagnia che ha le sue radici in Puglia formata da quattro ragazzotti cresciuti: Michele Altamura, Nicola Borghesi, Riccardo Lanzarone e Gabriele Paolocà che dopo aver terminato l'accademia ad Udine non decidono di tuffarsi nell'immenso mondo dei provini come si è solito fare ma preferiscono unire le forze e provare a portare in scena un proprio spettacolo.Così per provare l'emozione ma anche la fatica di poter andare in scena quasi ogni giorno abbiamo preferito aprirci anche ad altre compagnie e regie. VQM siamo noi: attori, registi, tecnici luci e suono, organizzatori di noi stessi.

-Perchè VicoQuartoMazzini?
VQM prende il nome dalla via in cui si trovava il nostro primo monolocale in Puglia che è stata la nostra prima casa e quindi anche il primo passo che ci ha avvicinato a questa regione.


-Diss(è)nten, il vostro primo lavoro. Di cosa parla e da dove nasce l'esigenza di portarlo in scena?
Diss(è)nten è una riunione massonica in tre gabinetti di un autogrill (o Montecitorio, a seconda del punto di vista) di tre personaggi: un politico, un legislatore e un giornalista. Tre modi diversi che utilizza il potere per manifestarsi. Si incontrano per parlare di un progetto politico e sociale: ottenere una società formata da tanti singoli senza una comunicazione viva fra di essi. Essendo un'indagine sul potere non può che apparire uno spettacolo comico/grottesco, perchè si sa bene, quando lo si guarda da fuori il potere fa ridere.
L'esigenza? L'esigenza nasce nell'estate del 2010 quando portammo in scena "Trilogia dell'apatia" formata da tre short di mezz'ora che analizzavano l'apatia in tre ambiti differenti: sociale, religioso e politico. Per il nostro primo spettacolo decidemmo di analizzare nel particolare il terzo ambito, quello politico, e da lì nacque la prima idea di Diss(è)nten.

http://www.youtube.com/watch?v=_jhObayVjvU&feature=youtu.be

-Alla fine della messa in scena compare una parola molto importante, potremmo dire una parola-chiave: disertare. Colui che ha il coraggio di applicarla realmente è colui che la rappresenta la stampa. Secondo voi in Italia oggi, è l'unico organo che possiede la capacità e la forza per compiere un gesto così coraggioso?
No, perchè quando viene pronunciata non ha quella forza di convinzione che dovrebbe avere. La scelta del giornalista di disertare rimane sempre una scelta di comodo per salvare se stesso. La messa in scena non ha un lieto fine perchè la vita e il mondo stesso non hanno lieti fini.
Il suo non è il gesto di un eroe, è un gesto dettato dall'autoconservazione.

-Diss(è)nten contiene una storia nella storia. Il legislatore racconta al giornalista: c'erano una volta un servo ed un padrone. Il servo stanco di essere sottomesso decide di disertare e uccidere il padrone. Arrivato sul più bello, quando è quasi riuscito a compiere il suo gesto, il padrone e il servo si trovano faccia a faccia. La pièce teatrale non offre la fine della storia. Secondo voi come termina?
In realtà anche la storia stessa è una menzogna perchè Diss(è)nten guarda alla menzogna. Il racconto serve a smuovere il personaggio del giornalista. E' un'utopia nell'utopia. Magari dopo quello scambio di sguardi, tutto ritorna come era prima: il servo assoggettato e il padrone che assoggetta. Un po' come la società ci insegna: tutto viene minimizzato e resta com'è.

- Il 19 Maggio 2013 VicoQuartoMazzini si è aggiudicato il "premio della critica" su 113 compagnie al Playfestival di Milano grazie a Diss(è)nten. Com'è stata l'esperienza milanese?
La nostra storia con Milano nasce nel 2010 quando facemmo un primo tentativo portando uno studio della pièce e che a nostro malgrado non andò a buon fine.
Siamo ritornati nella grande città quest'anno e con uno spettacolo che ormai aveva due anni di vita.
Nessuno lì ci conosceva, eravamo perfetti estranei sia al pubblico che alla giuria e quindi sentivi non un senso di pregiudizio ma di attenzione. Durante la messa in scena ognuno di noi ha continuato a fare il suo lavoro senza tirare troppo sul pubblico. Alla fine ci sono stati alcuni secondi di silenzio. E sono i più terribili perchè non sai se quel silenzio è la conseguenza del fatto che è piaciuto o meno. Partito l'applauso quasi non credevamo a tutto quell'entusiasmo che ci fu restituito. E alla fine questa è la cosa più importante perchè grazie alla fiducia del pubblico (soprattutto di un pubblico come quello di Milano educato alla cultura teatrale) trovi la voglia per continuare il tuo lavoro. Si potrebbe quasi dire che Milano è l'impegno e la fatica che son stati ripagati.

-Non è la prima volta che portate in scena Diss(è)nten. Come si è evoluto nel tempo?
All'inizio lo spettacolo era meno comico e più cupo. Le voci erano modificate tramite microfoni particolari, i costumi facevano collocare i personaggi in un tempo e in uno spazio ben preciso. Successivamente abbiamo voluto rendere il tutto più universale, meno esplicito. I tre personaggi non corrispondono solamente a precisi tipi che caratterizzano il panorama italiano, ma riescono a colpire qualsiasi gruppo sociale che sia infettato da meccanismi figli del potere. Diss(è)nten non vuole essere satira politica infatti i personaggi sono stati estremizzati al punto tale da diventare tre buffoni: tutto quello che viene tirato fino agli estremi diventi inevitabilmente grottesco.

-Insomma Diss(è)nten nasce anche dal bisogno di comunicazione libera e costruttiva: è lo scopo del teatro stesso. Se dico TEATRO\ LIBERTA' cosa vi viene in mente?
Partiamo dal presupposto che la libertà non è un dato di partenza ma un risultato.
Se il teatro è specchio (deformato) della vita, così come in essa ci sono compromessi di cui bisogna tener conto. Non ci si può sentire liberi quando si mette al mondo uno spettacolo. Il che non è un fatto negativo. La bellezza del teatro è saper giocare con le regole; il dato di arrivo quindi è trovare la libertà attraverso il riconoscimento dei limiti.
Inoltre la più grande libertà che il teatro riesce a prendersi è quel compromesso che si crea fra attore e pubblico: riconoscere la finzione ma accettarla e renderla sacra. Il teatro riesce, magicamente, tramite una grande finzione a raccontare una grande verità.


Giorgia Ciocia

2 commenti:

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